TUTTO QUELLO CHE VORRESTE SAPERE SUI RIFIUTI E NON AVETE OSATO CHIEDERE (2a puntata)

Riceviamo riscontri diretti e indiretti dell’interesse che il nostro dossier sta suscitando e sappiamo che alcuni tra i nostri Hubbers si sono persino avventurati nell’esplorazione del web, sulle piste che vi abbiamo indicato. A questo punto, non sarà più un mistero per nessuno il meraviglioso scenario che si appresta a diventare realtà sotto i nostri increduli occhi. Cominciamo a descriverlo in ordine (decrescente) di meraviglie.

La risorsa “patata”, che comprende quella parte interna che finisce prima nelle vostre padelle insieme a polli o salsicce (e poi dolorosamente su fianchi e cosce), consta anche di una parte esterna che – insieme ad altri materiali biodegradabili- parteciperà all’opera meritoria di fertilizzare la terra negli impianti di compostaggio che si realizzeranno vicino ai terreni agricoli. Ma non solo: la risorsa-buccia della vostra patata sarà arruolata nelle truppe di resistenza all’erosione e alla desertificazione che minacciano i nostri suoli, quale insostituibile fattore di stabilità. Come ci arriverà all’impianto di compostaggio? Niente di più semplice: verrà direttamente prelevata dalle vostre case da una solerte squadra di reclutatori porta a porta, a giorni fissi. Siamo certi che nuovo affetto e rispetto avvolge ora le vostre patate che, ignari dei loro poteri e virtù, con colpevole superficialità avete lasciato entrare e uscire dalle buste della spesa senza neanche un moto di riconoscenza. Parimenti, non sarà solo l’accanirsi della crisi e di Monti a farvi guardare con occhi nuovi ai vecchi vestiti, mobili, scarpe e giocattoli ma il sapere che nel nuovo mondo a rifiuti zero essi vengono considerati beni durevoli (alla faccia dei nostri pusher di pret-à-porter e arredamento di design) con la possibilità di una nuova vita dopo il passaggio nei Centri di Riuso e Riparazione. Non parliamo poi degli elettrodomestici e degli altri materiali ottenuti dalla decostruzione degli edifici (infissi, sanitari, legno, mattoni, ecc.) che verranno riparati e venduti per un loro riutilizzo.

Ma il meno nobile dei motivi per cui nessuno smetterà più di differenziare è che sui rifiuti pagheremo una bolletta a seconda della quantità di secco indifferenziato che conferiremo: più inquini e più paghi. Se credete che questa sia fantascienza, fatevi un giro al Consorzio di Priula, dove la bolletta della spazzatura è già realtà. Come? Il magico contatore che ne misura la produzione si chiama “transponder” e si trova all’interno del contenitore personale del rifiuto più inquinante: il secco non riciclabile. 
Quando il contenitore viene svuotato dall’operatore che effettua la raccolta, viene anche registrato il segnale elettromagnetico trasmesso dal “transponder”; il segnale contiene un codice associato alla famiglia, (o al condominio, o all’azienda a cui appartiene il contenitore) e il gioco è fatto. Capite ora perché in un giorno non lontano monteremo a guardia dei nostri cassonetti con la stessa solerzia e trepidazione con cui guardiamo i gioielli di famiglia.

In generale, la parola d’ordine del futuro che ci attende è riciclo, che ha una maggiore efficienza energetica rispetto allo sbandierato “recupero energetico” ottenibile da termovalorizzatori, gassificatori, dissociatori molecolari e altri mostri simili, da cui speriamo abbiate cominciato a guardarvi. Inoltre riciclare non presenta nessun rischio per la salute dei cittadini, produce molti più posti di lavoro e costa di meno. Secondo il verbo che si diffonde da Capannori, riciclare è anche più accettato dalle comunità (quelle più cool, si capisce).

Tutto sta per cambiare: nello scenario a rifiuti zero che ci attende, non solo possiamo dire addio ai nostri bei flaconi di Dash, Coca-Cola, latte e acqua perché tutto verrà sostituito da vuoti a rendere e acquisti alla spina, ma per il prossimo pic-nic del 1° maggio conviene da subito dotarsi di uno sherpa che porti per noi piatti di porcellana, bicchieri di vetro e stoviglie perché gli equivalenti usa e getta saranno banditi (a parte quelli prodotti con materiali biodegradabili) se il vostro buon gusto non l’ha fatto ancora.

Per tutto quello che invece non si può né riciclare né compostare c’è il TMB – sigla iniziatica per il Trattamento Meccanico Biologico, con il quale si recupera – attraverso sistemi di intercettazione a tecnologia ampiamente disponibile sul mercato – il 70% di metalli, carta, vetro e plastiche dei materiali immessi. In questo modo in discarica va non più del 30% di rifiuti, la cui potenzialità inquinante e’ ridotta del 90%.

Tutta questa catena di ritorno dei rifiuti a risorse verrà corredata dai Centri di Ricerca per l’analisi della frazione residuale, voluti da Paul Connett che è il Paolo Guarnaccia di Capannori che, avendo la sfortuna di non avergli dato i natali, se l’è dovuto cercare negli States) i quali progetteranno per le imprese prodotti e packaging a basso impatto ambientale, secondo i criteri di ecodesign e bioarchitettura che all’HUB di Siracusa abbiamo già visto il 23 settembre con Nicola Cerantola.

Al primo di questi Centri di Ricerca che aprirà, mi sento, a nome di tutti, di consegnare la missione di studiare un metodo alternativo al monito del Comune di Capannori contenuto al punto 5 (rivedere link per credere!) dove tra le pratiche di riduzione dei rifiuti viene prescritto l’utilizzo di pannolini lavabili. Ripeto: utilizzo di pannolini lavabili.

Ahò! A tutto c’è un limite!

Olivella Rizza

TUTTO QUELLO CHE VORRESTE SAPERE SUI RIFIUTI E NON AVETE MAI OSATO CHIEDERE (1a puntata)

Negli ultimi mesi a the HUB Sicilia molto ci andiamo occupando di green economy. Cosa stiamo imparando? Primo risultato: attenzione! In vista di legittimazione politica o di appeal emotivi per aumentare le vendite, tutti i lupi cercano di ammantarsi il pelo di verde. Come distinguere allora il green washing dalle pratiche di business e dalle proposte politiche autenticamente (e seriamente) green?

Non è facile: alcuni lupi restano tali, col pelo verde e con i vizi dell’avidità e della stupidità; alcuni lupi – per amore del business o del consenso – scaltramente si riciclano in lupi vegani pur di non morire di fame (e confessiamo che questi ci piacciono molto); poi ci sono gli autentici indigeni di ritorno, innamorati del pianeta e dell’uomo, eroi della creatività e artisti dell’impegno etico e sociale. L’autoinformazione e il controllo personale sono sempre i mezzi più sicuri per orientarsi. Ma facciamo tutti esperienza della complessità delle competenze che ci sono richieste per seguire con cognizione di causa le cose che ci stanno a cuore. E allora, per l’hubber volenteroso/a (e con poco tempo per informarsi) che voglia orientarsi nella rivoluzione verde che monta sotto i nostri occhi, ecco qui in regalo una piccola guida:

TUTTO QUELLO CHE VORRESTE SAPERE SUI RIFIUTI E NON AVETE MAI OSATO CHIEDERE (per paura di fare la figura degli sfigati).

Olivella Rizza l’ha chiesto per voi a due veri guru del settore, Paolo Guarnaccia e Emma Schembari. Questi i risultati della prima esplorazione, che vi distilla:

Cosa dovete sapere sulle pratiche desiderabili di trattamento dei rifiuti (allo stato delle conoscenze oggi disponibili)

Se pensi “cosa fare dei rifiuti che si producono?” sei già sulla cattiva strada: in via preliminare, veniamo a sapere infatti che i rifiuti sono il simbolo di una società che nella modernità si è affermata operando in modo frammentato e che ha simboli che ci allontanano dall’unità. Il primo passo è allora resettarci e non considerare più i rifiuti come “pezzi” ma come parti di un unico bene: la risorsa, che proviene dall’unica fonte che è la TERRA. Fatta l’operazione di vedere i rifiuti come altre parti delle risorse che usiamo e che se ci organizziamo, continuano a produrre valore per noi, ci imbattiamo nella scoperta che la gestione dei rifiuti non è un problema tecnologico ma un problema di organizzazione. Scopriamo infatti che la soluzione tecnologica ad oggi rappresentata da certa stampa (e da certi politici) come risolutiva ovvero gli inceneritori (anche detti, ma solo in Italia! termo-valorizzatori) sono una potente fonte di pericolo per la salute umana a motivo della diossina e dei metalli pesanti – sono i più importanti indicatori che sono stati testati dai ricercatori – che vengono assorbiti dall’uomo attraverso l’aria e gli alimenti (latte, vegetali, uova, etc) provenienti dalle aree vicine agli inceneritori/termovalorizzatori. Green Peace e Terranauta offrono sul web contributi documentati; in particolare Terranauta pubblica un articolo nel quale si contesta all’ex ministro Veronesi e ai suoi collaboratori un uso improprio dei risultati della ricerca scientifica internazionale, che vengono stravolti per argomentare la sicurezza degli inceneritori per la salute.

Il kit informativo base del cittadino proattivo à la page prevede, come passo successivo, l’addomesticamento con l’esperienza del comune di Capannori, che sta ai fans dell’ecologia come Pietralcina ai devoti di Padre Pio. Cosa si consuma in questo comune del lucchese? La galvanizzante esperienza di una comunità di 45.000 abitanti che nel 1997 vince la sua battaglia contro l’inceneritore di cui era programmata la costruzione, diventa in breve tempo luogo in cui – contro la previsione del 65% – si consuma una raccolta porta a porta pari all’83% e che si appresta entro il realistico tempo del 2020 a realizzare l’utopia dei rifiuti zero. Il pellegrinaggio virtuale va fatto (obbligatoriamente!) all’indirizzo: http://www.rifiutizerocapannori.it/. Come attrazioni imperdibili, i nostri Hubbers non manchino di visitare questa pagina! Raccomandiamo di non lasciarsi intimidire dal disinvolto, utilizzo di acronimi come RD perché altro non vi si nasconde dietro che la raccolta differenziata, prima pratica alla quale il-cittadino-del-futuro-in-embrione-che-si-nasconde-in-voi (anche se non lo sapete) deve abbandonarsi, se vuole assicurarsi la gloria dell’”io c’ero” quando l’alba del nuovo mondo a rifiuti zero sorgerà anche alle nostre latitudini.

Restate, dunque, in attesa della prossima esplorazione sull’incantevole mondo delle risorse (chi ha detto rifiuti?) e nel frattempo…abbandonatevi all’RD!


Olivella Rizza